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“Dentro questa Torino vuota sembra di stare in un De Chirico: l’arte ci aiuterà a resistere”

La direttrice del Museo di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev apre una sede digitale

RIVOLI. Non bisogna muoversi, ma non ci si può chiudere, così il Castello di Rivoli inventa «Cosmo digitale», palestra per la mente, svago consentito e sicuro. Non è un museo spostato on line, è una sezione virtuale che acquisisce opere digitali, un’ala a sé stante inaugurata in emergenza per rispondere a una necessità: «Inventare tempo libero in assenza di libertà». La direttrice Carolyn Christov-Bakargiev medita da tempo un’architettura alternativa e la serrata del Paese l’ha spinta ad accelerare. E improvvisare.

Perché è diventato urgente varare il progetto adesso?
«Non eravamo pronti, ma non importa. La situazione ci ha spinti a chiedere a decine di artisti, a usare la piattaforma che avevamo, non è quella giusta ma è giusto dare ora ai tanti ragazzi a casa un’alternativa alle notizie terribili. Vogliamo toccare le corde della creatività e dell’emozione, anche della provocazione che, in tempi forzatamente sotto controllo, sembra vietata».

Per esempio?
«C’è un’animazione di Marianna Simnett dove i due protagonisti sono a distanza di un metro ma senza spostarsi usano la lingua per unire i pensieri e c’è un video dello stesso anno in cui ha aperto il Castello, nel 1984 in cui Joseph Beuys sputa olio bollente. Sputare, un’azione condannata».

Non dovrebbe esserlo?
«Sì. Ma l’arte ci aiuta a prendere coscienza dei cambiamenti. Un tempo fumavamo negli aerei, ci sembrava logico, normale. Le abitudini cambiano. Questa tragedia ce le farà cambiare ancora».

In questi giorni così strani da dove può iniziare questa visita virtuale?
«Magari dalla mia lezione sulla natura morta, l’ho messa apposta: per mostrare quanto siamo fragili, ma ogni giorno ci sarà un’aggiunta. Claudia Comte che racconta di forme rallentate, quanto noi ora. O Penone, con i suoi attimi minimi, il seme che cade sull’opera nell’incrocio tra natura e arte. O la visita guidata alla mostra sui contemporanei cinesi. Non avrei mai pensato che sarebbe diventata così attuale, che sarebbe stata terreno di scambio dentro una storia comune».

C’è anche Ai Weiwei che con il suo post: «Il coronavirus è come la pasta: l’hanno inventato i cinesi, ma gli italiani lo diffondono nel mondo» ha scatenato reazioni forti, come era prevedibile.
«Io sono contraria alla censura. Gli artisti sono ambigui, usano linguaggi a due facce: credo volesse sottolineare la tristezza dei cliché. Il messaggio non è suo, lo ha preso dalla rete e diffuso».

Ma è lui il nome famoso.
«Certo, è consapevole di essere un megafono però usa una tecnica adorniana: fa uscire la dialettica negativa. Se vogliamo è un ready made. Sia cinesi che italiani si offendono. Ma gli italiani non sono la pasta e i cinesi non mangiano qualsiasi cosa, sono solo pregiudizi».

Che effetto le fa Torino deserta.
«Se uno si astrae per un attimo, è di una bellezza strepitosa. È metafisica, sembra di stare in un quadro di De Chirico. Poi c’è la realtà, ieri sera, alle dieci, portavo fuori il cane e mi sentivo una fuorilegge. Io e gli homeless che erano invisibili prima e lo sono ancora. Così vuota, Torino mi è sembrata troppo illuminata, che spreco di energia».

La vorrebbe pure buia?

«Sarebbe credo pericoloso, ma di certo non servono ora tutti quei riflettori senza nessuno da guidare. Ho pensato a Cuoghi che per Luci d’artista ha spento piazza San Carlo. Non poteva sapere cosa sarebbe successo, ma io so da sempre che gli artisti hanno un sesto senso».

Cosa potrà fare la cultura quando l’Italia riparte?
«Avrà un ruolo fondamentale, come ha detto il presidente del Castello. Fiorenzo Alfieri: “Esploderà la voglia di vivere e fare”. Io lo ascolto e mi preparo».

L’economia si è congelata, non sarà così facile.
«Pur fidandomi ciecamente delle direttive delle autorità, non posso evitare di contare le perdite. Non abbiamo alternative, l’Italia dovrà trovare in sé la propria forza. Per il lancio di “Cosmo digitale” pensavo a una comunicazione rivolta all’estero, perché è un esperimento inedito e con il museo chiuso poteva essere pubblicità per il Castello, ma poi ho cambiato idea. È per poi, per gli italiani in ansia, per un Paese chiuso in casa. È locale e lo dico con orgoglio. È vitale e lo dico pensando al futuro»

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