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“Così l’arte influenza la mia cucina”

Mecca di Spazio 7: “Così l’arte influenza la mia cucina”

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Arte e ristorazione: un connubio fin troppo facile per non essere messo in pratica. Eppure, gli esempi di ristorazione di livello nei musei del mondo si contano sulle dita di un paio di mani. Il Ristorante Georges, sulla bellissima terrazza del Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou di Parigi; o il M.Wells Dinette, che propone una ristorazione semplice ma comunque di qualità, da consumare su tavoli che sembrano banchi di scuola al Moma Ps1 momaps1.org di New York. Oppure, l’esempio più ambizioso di tutti: Idam, il ristorante firmato da Alain Ducasse al Museo di Arte Islamica di Doha.
Una tendenza, quella di accostare arte e alta cucina, che mostra segni di espansione, anche in Italia. Basti pensare al Mudec, il Museo delle Culture di Milano, il cui ristorante porta la firma del re delle stelle Enrico Bartolini. Oppure al Combal.Zero di Davide Scabin, che si trova nella terrazza con vista sulla città del Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli.

Poco distante, a Torino, c’è un altro museo che ha scelto, qualche anno fa, di puntare in alto con il suo ristorante. È la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, meta di appassionati di arte contemporanea e da qualche tempo anche di gourmet. Spazio7 è infatti uno dei punti di riferimento della ristorazione cittadina, nato nel 2015 grazie a un’intuizione di Emilio Re Rebaudengo, membro del CdA della Fondazione. «Oggi più che mai credo che arte e cucina vadano a braccetto – sostiene Emilio Re Rebaudengo – e in effetti i risultati che abbiamo ottenuto ci lasciano davvero soddisfatti. La cucina di Spazio7 attinge in maniera intelligente dalle suggestioni artistiche della Fondazione, senza esasperazione né forzature: non è un vincolo, ma se c’è la possibilità che i piatti vengano ispirati dall’arte è il coronamento del nostro progetto». A guidare la cucina di Spazio7 il giovane Alessandro Mecca, una delle promesse culinarie su cui puntare: a lui abbiamo chiesto come ci si trova a lavorare circondati da tanta bellezza.
Com’è lavorare nel ristorante di un museo?
«Molto più complesso di quanto non si possa credere. È contemporaneamente difficile e stimolante: intorno a te succedono sempre tantissime cose che ti attraggono, ti influenzano, ti coinvolgono. In generale, io cerco sempre di sentirmi parte di ciò che mi circonda: quando lavoravo in un ristorante di campagna la mia cucina aveva un’impronta più contadina, oggi lavoro in un museo di arte contemporanea e la mia cucina è necessariamente più contemporanea»

L’arte influenza la sua cucina? In che misura?

«In questo momento l’arte influenza moltissimo la mia cucina, che si ispira costantemente a quello che succede alla Fondazione. Le mostre cambiano circa ogni tre mesi, e il mio menu evolve più o meno con gli stessi tempi: non è un caso. Ogni nuovo artista con cui vengo a contatto mi porta a fare nuovi ragionamenti e a creare piatti nuovi».

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Cioè? Tenta di replicare le opere d’arte?
«Assolutamente no! Arte e cucina sono due mondi diversi, e un’opera è una creazione unica che non mi permetterei mai di provare a replicare. Quello su cui posso lavorare però è il pensiero dell’artista, cercando di capire cosa c’è dietro le sue creazioni per trarne ispirazioni per il mio menu. Ad esempio, un artista che valorizza con le sue opere i materiali poveri mi spinge a fare la stessa cosa nei miei piatti».

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A suo parere la cucina è una forma d’arte?
«Più o meno, ma non bisogna esagerare. Certo, la cucina è una forma di espressione, così come l’arte, ma forse il nostro lavoro è in qualche misura più simile all’artigianato. L’arte è qualcosa di più astratto, di più etereo, la cucina invece è concreta: non dimentichiamoci che per vivere dobbiamo mangiare».

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E dove trovano un punto d’incontro arte e cucina?
«Lo trovano sul pensiero: sulla costruzione di qualcosa che supporti un’idea. Io non lavoro su un piatto singolo, ma su un menu, così come l’artista non lavora sulla singola opera d’arte, ma su un progetto più ampio di espressione della propria idea. In un percorso di degustazione ogni piatto aiuta e migliora la comprensione di quello successivo, allo stesso modo in cui per comprendere meglio un’opera di un artista è utile conoscerne l’intero lavoro».

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Che cosa le hanno insegnato questi anni di ristorazione in un museo?
«Certamente l’apertura mentale. Grazie all’aiuto di Emilio Re Rebaudengo ho imparato qualcosa sull’arte, lui mi spiega le opere e gli artisti con grande semplicità: in questo modo mi sento sempre parte di qualcosa di più grande. Ho imparato soprattutto a guardare le cose da un’angolazione diversa, senza chiusura mentale, chiedendomi il perché delle cose. Credo che sia un po’ questa la chiave dell’arte contemporanea, no?».

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