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Giovanni Borgonovo – L’abisso che non santifica. Saggio su un pittore dimenticato – a cura di Loris Zanrei

Giovanni Borgonovo

di Loris Zanrei

In alcuni momenti la pittura di Giovanni Borgonovo assomiglia alla fotografia di Cartier Bresson: il realismo che ci offre è una vera e propria riproduzione in diretta. È il pittore della vita, dell’istante in cui ci soffermiamo a cogliere il momento. Borgonovo non sublima, non innalza, in lui non c’è nessun Dio che galleggia in alto. Al contrario vive e dipinge sulla terra, fa entrare nell’arte i frammenti del quotidiano , i malati, i peccatori che non hanno la certezza di un aiuto divino. È il pittore della realtà. La fotografa, nel senso che coglie l’attimo decisivo, per dirla alla Bergson.

Giovanni Borgonovo

I critici d’arte, per lo più, non l’hanno compreso; critici come Achille Bonito Oliva, non lo possono capire perché troppo poco d’avanguardia, non esponeva merda d’artista, ma quadri dipinti e pieni di passione. Siamo di fronte ad un grave tradimento della critica rispetto ad un grande artista, grande come Morandi.

Giovanni Borgonovo rappresenta la dimensione intimistica, quella in cui uno riflette sul suo destino, una visione realistica, di verità e confronto anche difficile con il mondo. Ma su Morandi hanno scritto tutti e su Giovanni Borgonovo non ha scritto nessuno. E per nessuno intendo di quei critici togati, universitari. Borgonovo è un artista nato nel 1881 che negli anni ‘30, nel clou di un’arte italiana molto importante, è un protagonista. Nei successivi anni ‘40 e ‘50 sorpassa il fascismo lo ignora, per via di un mondo interiore stabile di paesaggio e di sentimento.

Giovanni Borgonovo

Nel novecento siamo di fronte ad un momento di svolta, durante il quale cambia totalmente il concetto di bello: tutto può essere arte, e anche un magazzino può diventare un museo. Sulla scia di Duchamp, il tema dell’orinatoio viene infatti ripreso più volte, fino ad assumere i connotati di un trono, come nel caso del Wc d’oro di Cattelan.

Questo è un filone dell’arte contemporanea, il più celebre, l’arte “applicata”. Inseriamo i Dadaisti, Warhol, gli informali. La grande maggioranza degli artisti più noti del secolo passato possono essere ricondotti a questo motivo. Sul versante opposto c’è però un’altra concezione: l’arte “implicata”. Quella che parla all’uomo, racconta la verità, le paure, la psiche. Ci porta a fare riflessioni sulla condizione umana. È l’arte, ad esempio, di Francis Bacon e di molti altri dimenticati.
Se il Novecento non è solo arte concettuale, è bene scoprirne il volto nascosto. Quello intimista, rivelatore, capace di raccontare il turbinio di emozioni ed angosce che domina l’animo umano. Turbinio solitamente inafferrabile, ma che diventa tangibile se raffigurato su una tela. Turbinio anche atemporale: dall’età preistorica a quella contemporanea, l’uomo ha sempre e comunque avuto il bisogno e il desiderio di raccontare di sé. In questo modo, la storia dell’arte passa dall’essere semplice disciplina manuale, per assume lo status di sarcofago contenente l’intera storia dell’umanità.

Borgonovo nelle sue opere evoca il tema della solitudine, il tema della malattia , il tema degli Indifferenti, il tema dell’incomunicabilità.

È proprio in questa dimensione esistenziale che si sítua la sua personalità. Serve oggi a noi per reinserirlo nella storia dell’arte.Borgonovo , infatti, è un grande pittore italiano, oltre che un grande pittore milanese. È un artista la cui immagine mancava alla conoscenza degli studiosi. Non potremo più guardare la storia del Novecento senza inserire le tessere della sua pittura.

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