Vai al contenuto

Antonio (Alessandro) Anedda, il silenzioso allievo di Mambor che portò la Pop Art in Sardegna

A cura di redazione

Antonio (alessandro) Anedda, il silenzioso allievo di Mambor che portò la Pop Art in Sardegna

A. Anedda (1941–2011) “Corpi in costruzione “ 1977 – Acrilici su carta


Nel panorama artistico sardo del secondo Novecento, il nome di Alessandro Antonio Anedda (1941–2011) rimane ancora oggi avvolto da un’aura di discrezione, quasi un segreto custodito in poche collezioni private e in memorie di gallerie degli anni Settanta. Pittore appartato ma coerente, Anedda attraversò la temperie creativa romana degli anni Sessanta entrando in contatto con la Scuola di Piazza del Popolo e soprattutto con Renato Mambor, di cui fu allievo e, in certo senso, continuatore.

A. Anedda

Un allievo sardo a Roma

Nato in Sardegna nel 1941, Anedda si forma inizialmente in ambito locale per poi approdare a Roma nei primi anni Sessanta. È qui che conosce Mambor, figura centrale di un’arte sospesa tra Pop e concettuale, capace di raccontare la vita quotidiana attraverso silhouettes e presenze-assenze umane. L’incontro con Mambor segna Anedda in profondità: ne assimila il linguaggio delle figure nere stilizzate, i corpi ridotti a segni grafici, sospesi su campiture geometriche di colore.

Anedda, il silenzioso allievo di Mambor che portò la Pop Art in Sardegna

L’eco di Mambor, la voce di Anedda

Se in Mambor la figura umana diventa “tipo” sociale, moltiplicata e anonima come in una statistica visiva, in Anedda la stessa stilizzazione acquista un tono più intimo. Le sue composizioni su cartone e tavola, spesso dominate da campi cromatici netti e da corpi che dialogano senza parlarsi, parlano di una Sardegna modernizzata ma ancora legata a ritualità arcaiche. Nei suoi quadri, l’anonimato della figura diventa metafora dell’individuo sradicato, in bilico tra tradizione e modernità.

Parallelismi e differenze

Il parallelismo con Mambor è evidente: stesso uso delle silhouettes, stessa tensione tra astrazione e racconto sociale. Ma mentre Mambor guardava al teatro, alla performance e al linguaggio come strumenti per allargare i confini della pittura, Anedda scelse la via della pittura pura, fedele al quadro come spazio di ricerca. Laddove il maestro spingeva verso l’idea, l’allievo ritrovava la concretezza del colore e della composizione, rivelando una sensibilità mediterranea, più lirica che analitica.

Un’eredità ancora da riscoprire

Rientrato stabilmente in Sardegna, Anedda continuò a dipingere fino alla morte, avvenuta nel 2011. La sua produzione rimane in gran parte sconosciuta al grande pubblico, custodita in case private e raramente comparsa in mostre o cataloghi. Eppure, la sua opera testimonia un ponte raro tra l’isola e la scena romana degli anni Sessanta, tra periferia e centro, tra allievo e maestro.

In tempi di riscoperta dei protagonisti minori della Pop Art italiana, il nome di Alessandro Antonio Anedda merita di tornare a circolare, restituendo al suo percorso il posto che gli spetta: quello di un pittore che, pur restando fedele alla lezione di Renato Mambor, seppe tradurla in una voce autenticamente sarda.

Categorie

News ARTING@