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Triennale Milano e la fusione vincente con il mondo della Moda. Nascita di un nuovo dipartimento

A cura di redazione


Moda e design: due settori che in Italia riportano subito a Milano e alla sua provincia, e che nel capoluogo lombardo convergono negli spazi di Triennale Milano, già in tempi non sospetti permeabili a reciproche contaminazioni. Ora quel legame è stato ufficializzato con la nascita del Dipartimento moda, che, affidato alla consulenza scientifica di Luca Stoppini, vuole indagare la moda come terra di interferenze con altre espressioni culturali della contemporaneità. Dopo una fase pilota, a ottobre il dipartimento ha inaugurato le sue attività tagliando il nastro dell’allestimento Forme Mobili, progettato dallo stesso Stoppini, all’interno del Museo del Design Italiano.

Qui per la prima volta pezzi iconici del design sono messi in relazione con abiti di maison che vanno da Capucci a KriziaGiorgio ArmaniVivienne WestwoodVersaceAlaïa o Comme des Garçons. Mentre uno spazio circoscritto, chiamato Design Platform, già dallo scorso anno ospita mostre temporanee dedicate a progettisti contemporanei, come quella in corso su Monica Bolzoni. Alle basi del progetto c’è Cuore, un centro studi, archivi e ricerca che porta in superficie le opere della collezione di Triennale. Tra donazioni, aquisizioni e comodati già conclusi, sono oltre una dozzina i capi entrati a far parte della collezione dell’istituzione, mentre altri sono in corso di definizione.
Ma con questa spinta decisa verso la moda, Triennale vuole supplire alla mancanza in Italia di un museo dedicato? “La nostra è una risposta, ma credo che l’espressione museo della moda oggi voglia dire poco”, ha spiegato Luca Stoppini a PambiancoNews. “Piuttosto, la moda va sviluppata e messa in connessione con il tempo che vive e con altri ambiti. Altrimenti si corre il rischio di avere un museo delle cere”.

In Italia manca un museo nazionale dedicato alla moda che sia in linea con i più importanti corrispettivi esteri. Come si pone il Dipartimento moda di Triennale, anche alla luce della mostra Forme Mobili, rispetto a questo tema?
Non c’è l’ambizione di creare un museo della moda, ma penso sia necessario dare una risposta visto che il settore è un motore così forte per l’Italia e per Milano. Rispetto a quanto fa già Palazzo Morando (il Museo del Costume e della Moda di Milano, ndr), il nostro è un approccio divulgativo e dinamico, che si basa sia su acquisizioni che su prestiti e comodati d’uso. Triennale è casa del Museo del Design e, come tale, della moda ci interessano l’esercizio del disegno, gli aspetti di progettazione e di ricerca sulle forme.

È un approccio che risalta nel nuovo allestimento…
La mostra Forme Mobili è il frutto del primo anno e mezzo di lavoro del dipartimento e della sinergia fondamentale con lo spazio Cuore, aperto quest’anno. L’ho sviluppato con l’obiettivo di dare al pubblico la possibilità di visitare gli archivi di Triennale, mettendo le creazioni di moda al centro di ogni sezione, protette da specchi come se fossero ancora in atelier.

Tornando al museo della moda, se ne parla da anni ma ancora non si è concretizzato. Come mai secondo lei?
È dagli anni Ottanta che sento parlare di un museo della moda, ma forse non si è realizzato perché nel frattempo è subentrata l’iniziativa privata, con le fondazioni e le iniziative delle maison.

Non ce n’è bisogno quindi?
Credo più che altro che l’espressione museo della moda oggi voglia dire ben poco. La moda per sua natura è da vivere, per cui deve essere presa da un punto di vista di sviluppo e di connessioni. È ciò che ho cercato di fare con questo allestimento, che vuole portare il pubblico a fare dei paralleli tra ciò che si indossa e lo spazio che si abita, dando un rapporto 1:1 tra la fisicità del corpo e gli oggetti con le loro funzione. La moda è come l’arte: va contestualizzata nel periodo. Se si fa un museo della moda, poi c’è il rischio che diventi un po’ un museo delle cere.

Un anno e mezzo fa le prime attività del dipartimento, che oggi è realtà ufficiale e ha messo il sigillo anche alla mostra su Elio Fiorucci, appena inaugurata. Quali saranno i prossimi passi?
A gennaio porteremo a Parigi la mostra ‘Tailoring school – A journey into education’, co-prodotta con Kiton. La allestiremo all’Istituto italiano di Cultura di Parigi, in accordo con la Fédération de la Haute Couture et de la Mode, durante la fashion week maschile. A febbraio, invece, ripeteremo con un nuovo giornalista i talk che l’anno scorso avevano visto protagonista Cathy Horin. Stiamo sviluppando poi delle conversazioni tra un nome della moda e un intervistatore che verranno registrate in Casa Lana (la residenza privata progettata negli anni Sessanta da Ettore Sottsass, oggi allestita in Triennale, ndr), oltre a presentazioni di libri sul settore, come fatto con Iceberg poche settimane fa.

Quanto a partnership con altre istituzioni museali?
Come dipartimento siamo stati contattati da alcuni musei internazionali di moda per curare della mostre insieme. Da poco abbiamo iniziato a lavorare a una mostra con due importanti istituzioni, una americana e l’altra inglese