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Il capolavoro di Beato Angelico ritrova luce e prospettiva

A cura di redazione



L’importante restauro della ‘Deposizione di Santa Trinita’ del Beato Angelico (al secolo Guido di Pietro da Vicchio 1395-1455), capolavoro conservato nel Museo di San Marco a Firenze, restituisce all’opera profondità, prospettiva e luminosità.


Caratteristiche celate finora in una apparenza appiattita e opaca che non rendeva merito alla reale fattura del dipinto.

Con quest’opera, Angelico scardina il modello tradizionale delle pale d’altare di impianto medievale, caratterizzate dall’accostamento di più tavole dipinte separatamente e divise da colonnine e guglie.  Introducendo un nuovo modello di pala, improntata ad una visione unitaria dello spazio dipinto, all’interno del quale i personaggi e le storie narrate, oltre ad acquistare maggiore respiro in uno spazio dichiaratamente prospettico, assumono una dimensione più solenne e monumentale, con accenti teatrali.


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L’intervento, durato due anni e curato nella parte pittorica da Lucia Biondi, ha recuperato con una pulitura “i valori di trasparenza e luminosità della pittura dell’Angelico, che – spiega un testo – appariva diminuita nei volumi e nella prospettiva”, e si riscopre appieno “la visione dell’artista” che “ricca di sottigliezze di luce e colore e di grande sensibilità per il dato naturale, trova un vertice nel suggestivo paesaggio che fa da sfondo alla scena sacra”. Tutto ciò, prima del restauro, era del tutto privo di profondità e la scena, pur maestosa, suggeriva cupezza per il deterioramento dei colori.
    L’operazione è stata presentata in San Marco dalla stessa restauratrice. “La posta in gioco era molto alta e la finalità del progetto assai ambiziosa – racconta Lucia Biondi – ma ho potuto contare sul profondo legame stabilito con Angelico, di cui ho restaurato anche il Giudizio Finale e la Pala di Bosco ai Frati, sempre nel Museo di San Marco”. C’è stato anche un “minuzioso ritocco pittorico” per ricucire “le numerose, piccole mancanze, causate dalle vecchie vernici che avevano letteralmente strappato le stesure più sottili, e le abrasioni delle antiche puliture”, inoltre “la verniciatura finale è stata studiata appositamente per saturare la pittura e non appesantirla con un’eccessiva lucentezza, in modo da enfatizzare la leggerezza e la trasparenza delle campiture”. Indagini diagnostiche serviranno per comprendere meglio il rapporto tra le parti dipinte da Lorenzo Monaco (cuspidi e predella) ed il completamento da parte del Beato Angelico: “molto resta ancora da spiegare”.
    Il restauro è stato reso possibile dal sostegno dei mecenati di Friends of Florence che, attraverso i donatori Peter Fogliano e Hal Lester, ha collaborato con la Direzione regionale dei musei della Toscana (Mic). “La Deposizione di Santa Trinita è uno dei capisaldi dell’arte occidentale e del Rinascimento fiorentino in particolare, presente in tutti i manuali di storia dell’arte – ha sottolineato Stefano Casciu, direttore regionale dei musei statali toscani – Il suo restauro è un vero evento soprattutto per il magnifico risultato che fa risplendere ancor più i colori, la luce, i volumi, la prospettiva, il paesaggio, le raffinate figure di questo capolavoro assoluto”. Casciu ha ringraziato le “molte professionalità” che si sono occupate del restauro fra cui “i restauratori Lucia Biondi (pittura) e Roberto Buda (supporto ligneo), Angelo Tartuferi direttore dei lavori e già direttore del Museo di San Marco, e Simonetta Brandolini d’Adda, mecenate ed anima di Friends of Florence”.

Tartuferi e l’attuale direttore del museo, Marco Mozzo, hanno evidenziato che “l’opera costituì una straordinaria svolta concettuale e stilistica. Il restauro agevolerà le ricerche future per chiarire molti interrogativi posti da questo dipinto e ancora irrisolti”.