Raccontare un’opera d’arte – Lapidazione di Santo Stefano (Giulio Romano)
A cura di Loris Zanrei
– Mercante d’arte ed Editore

Oggi, Santo Stefano, e’ necessario ricordare un’opera d’arte immensa e straordinaria nella sua drammatica assolutezza. “ Lapidazione di Santo Stefano “ di Giulio Romano. Anzitutto, (per chi non lo sapesse, Giulio Romano era il più fedele allievo di Raffaello, artista e architetto, nacque a Roma intorno al 1499 e andò giovanissimo a bottega (appunto) da Raffaello. P.S- il suo vero nome era Giulio Pippi de’ Jannuzzi, detto appunto …Romano.

- Tra l’altro, e’ interessante ricordare che dopo la morte di Raffaello, nel 1520, Giulio ereditò la bottega e le commissioni già avviate, completando i lavori in corso e affiancandosi con Gian Francesco Penni per la realizzazione della Sala di Costantino in Vaticano.
“ Lapidazione di Santo Stefano “ e’ un dipinto a olio su tavola (288×403 cm), databile al 1521 circa e conservato (e visitabile) nella chiesa di Santo Stefano a Genova.
Consiglio a chi ha la possibilità di andarlo a visitare, perché si tratta di un capolavoro unico, sospeso nel tempo. Giulio Romano doveva avere bene in mente i modelli più recenti di innovative pale d’altare, quali la Trasfigurazione di Raffaello e la Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo, su disegno di Michelangelo. Giulio tentò di fondere le due maniere, creando una scena su due registri, concitata e ricca di variazioni luminose, che si sciolgono nella visione del santo inginocchiato in primo piano e nell’apparizione della Trinità in alto, a cui Stefano si rivolge.
P U B B L I C I T A’

In primo piano il santo è infatti inginocchiato con le braccia aperte e rivolge uno sguardo paziente all’alto, dove su una nuvola ci sono il Padre ed il Figlio, illuminati da una fonte di luce e circondati da angeli, che sembra tengano aperto il cielo, trattenendo le nuvole con le mani. In basso santo Stefano è attorniato da una moltitudine di Giudei che hanno delle pietre nelle mani pronte per essere scagliate contro di lui, compiendone il martirio. Accanto ad esso c’è Saulo inginocchiato sui suoi vestiti, che protende col gesto della mano destra indirizzando l’occhio dello spettatore verso il protagonista e con lo sguardo rilancia l’alto. Le figure sono collocate in pose artificiose e teatrali con l’esasperazione dei particolari anatomici e dei gesti.

Alle spalle dei lapidatori si apre un paesaggio in cui si vedono le rovine di una città, allusione a Roma antica e alla fine imminente del paganesimo. Si tratta di una citazione, oltre che simbolica, anche di gusto squisitamente antiquario, secondo il gusto “clementino” allora dominante. Il Martirio di santo Stefano dovette impressionare la scena genovese per quella sua presentazione scenica imponente, per la luce intensa e per la composizione “naturale” e insieme macchinosa. La piena adesione all’esperienza di Giulio Romano si avvertirà nella nuova generazione di pittori con Andrea e Ottavio Semino e soprattutto con Luca Cambiaso.
Auguri a tutti gli Stefano
Loris Zanrei
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