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Mario Pozzan, pittore rivoluzionario tra l’Arcimboldo e Mario Tozzi

A cura di Redazione

Mario Pozzan

Mario Pozzan (1940-2020), e’ uno di quegli artisti di qualità che solo i più raffinati collezionisti conoscono. Una sintesi che si colloca tra le contaminazioni dell’Arcimboldo e l’astrattismo di Mario Tozzi. Il suo stile è difficilmente databile e il suo non appartenere a un movimento artistico, insieme a un temperamento schivo e solitario, ha preservato la sua pittura da mode e contaminazioni. Pozzan studia per tutta la vita la “sua” gamma cromatica, all’interno della quale si muove con armonia e coerenza.
I grigi si tingono di rosa, il rosa vira nell’arancio e poi nelle gradazioni delle terre.
I colori di Pozzan si contraddistinguono per la loro “polverosità” che rende ogni tela simile a un dipinto murale.

Mario Pozzan

L’antologica al museo

Al Museo Diotti la sua prima antologica, comprendente una trentina di opere (dipinti, disegni, sculture e pitture tridimensionali) realizzate fra gli anni della formazione (primi anni ’60) e quelli più recenti. La mostra, necessariamente selettiva, si propone come uno dei possibili percorsi della storia artistica di Pozzan, focalizzandosi su tre nodi essenziali: la ricerca di sé nelle innumerevoli forme dell’ “autoritratto accumulatorio” (secondo l’efficace espressione di Lucio Cabutti), l’esorcismo del male e della morte attraverso la decostruzione del volto e del corpo, la ricreazione plastico-costruttiva del mondo a partire dall’individuazione ed iterazione ossessiva di una forma organica assurta ad elemento modulare e compositivo.

Mario Pozzan

Grande sperimentatore, sia nel recupero di tecniche antiche, sia nell’esplorare le possibilità espressive di nuovi materiali, Pozzan sembra continuamente riscrivere per immagini la propria storia artistica, sedimentata fra la caverna-studio degli anni giovanili a Casalmaggiore e quella della maturità a Cremona.

Costanti della sua produzione sono l’ironia e l’autoironia, talora il cinismo e la ferocia sarcastica: un moralismo alla maniera di grandi caricaturisti, che lo porta a disegnare corpi e mondi dominati da paure, da sguardi che hanno perso per sempre l’innocenza, in attesa che il Tempo scriva l’ultima parola. Così la volontà costruttiva delle opere più recenti non deve trarre in inganno con le sue geometrie a vivaci colori, perché è tanto disegnata quanto trafitta e corrosa, configurandosi come un diverso ed ulteriore specchio della sua anatomia della malinconia.

Non si intende però appieno il lavoro di Pozzan se si ignora il parallelo scorrere di un’inesauribile e sapiente attività disegnativa finalizzata all’illustrazione di autori amati (Buzzati soprattutto) e meglio ancora alla costruzione di racconti per immagini dedicati a luoghi archetipici abitati in gioventù, “prima della rivoluzione”: una mitografia personale che intercetta le favole antiche e l’immaginario collettivo intorno agli argini di Po, ai paesi delle fornaci, in preda a uno spirito fantastico, sul filo della memoria e forse pure della nostalgia: luoghi di incontro e di attese, crogiolo di sogni, speranze ed incubi futuri